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Capitolo 404: Queer e Ora

Prima di parlare del qui e ora, un passo indietro: marzo si è chiuso con 21 film all’attivo, di cui ovviamente abbiamo ampiamente parlato. In tutto il 2025 (esclusi questi primi giorni di aprile) mi trovo dunque con un totale di 62 film, 10 in meno rispetto all’anno scorso, che è stato il mio anno dei record. Il motivo di questo ritardo non è causato da un’impennata della mia vita sociale, figuratevi, ma va più probabilmente ricercato nelle tante serate dedicate al rewatch di Twin Peaks, ormai agli sgoccioli. Alla lista qui di seguito manca Zodiac, trovato anche quest’anno in tv e inevitabilmente rivisto, ma ne ho già parlato così tanto in passato che, per questa volta, ho pensato di ometterlo (tanto cosa devo dirvi ancora, è un capolavoro).

Queer (2024): Avevo discrete aspettative su questo nuovo film di Luca Guadagnino, anche perché le sue opere precedenti mi sono piaciute praticamente tutte (niente che mi facesse strappare i capelli, anche perché stanno cadendo da soli, ma comunque lo ritengo un autore più che apprezzabile). Qui invece non funziona quasi nulla, se non gli ottimi interpreti (Jason Schwartzman è fantastico) e alcune sequenze oniriche (specie nella prima parte) che omaggiano David Lynch e lo fanno anche bene. Daniel Craig è un tossico espatriato in Messico, dove fa il viveur tra un locale gay e l’altro. In uno di questi incontra un ragazzo che gli farà perdere la testa, ridefinendo il suo concetto di dipendenza. Decisamente meglio nella prima parte, quando si attiene al romanzo omonimo di Burroughs, cala drasticamente nel terzo atto, tra trip allucinati e ricerca dell’ayahuasca come fosse il Santo Graal. La colonna sonora con i Nirvana poi, mi è sembrata totalmente fuori luogo, così come alcune scenografie, talmente finte che mi sono sembrate ricostruite con l’AI, ma spero di sbagliarmi. Delusione.
••½

Possession (1981): Il polacco Andrzej Żuławski, oltre ad essere stato assistente di Wajda e uomo più invidiato del mondo nei 17 anni in cui è stato insieme a Sophie Marceau, è anche il regista di questo straordinario e assurdo film. Citare la trama senza rivelare troppo sarà un’impresa: nella Berlino divisa dal muro, Sam Neill e Isabelle Adjani sono una coppia in crisi. Non si amano più e per questo lei decide di portarsi via il figlioletto e lasciare il marito. In realtà la donna sta vivendo una sorta di doppia vita in cui nasconde un segreto che è meglio non conoscere. Probabilmente ho già detto troppo, ma sarebbe stato complicato far capire il livello di ansia, mistero e orrore che avvolge ogni scena, con una macchina da presa che gira di qua e di là, in alcune delle carrellate più audaci (e bellissime!) che abbia mai visto in un film. Un cult per cui David Lynch nel 2006 spese parole importanti, definendola “la pellicola più completa degli ultimi 30 anni”. Palma d’Oro a Cannes per la migliore interpretazione femminile, il modo in cui il regista riesce a rendere la stessa Berlino protagonista è strepitoso, con l’angoscia dei personaggi che viene amplificata dalla presenza, a due passi, del muro, dei soldati, del filo spinato. Cultissimo.
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Seven (1995): In un tranquillo sabato sera, dopo che hai visto la partita della Roma, fai zapping in tv e trovi questo capolavoro di Fincher appena iniziato, che fai? Cambi canale? Non credo proprio. Ed è così che ti rivedi Brad Pitt e Morgan Freeman alle prese con un assassino che sceglie le sue vittime in base ai sette peccati capitali. Ed è così che rivivi tutta la claustrofobia di una città cupa, perennemente piovosa, fredda, fino a quel clamoroso e assolato finale, uno dei più incredibili della storia del cinema. Ricordo perfettamente quando a 14 anni vedevo il trailer in tv e la felicità, un anno dopo, quando venne messo in programmazione su Telepiù, dove lo vidi e rividi fino a farmelo uscire dalle orecchie. Immenso.
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Voglia di Vincere (1985): Se ci si ferma a pensare è incredibile quanto eravamo felici negli anni 80, senza saperlo. Quando la sera in tv passavano un film con Michael J. Fox e tu te ne stavi là a guardarlo, magari sperando un giorno di diventare simpatico e gagliardo come lui. Il nostro qui è uno studente di liceo, nonché titolare nella sfigatissima squadra di basket della scuola, celebre per prendere scoppole a destra e a manca. Un giorno il ragazzo scopre di aver ereditato la licantropia, ciò che non può ancora sapere è che la sua versione da lupo farà impazzire le ragazze, lo renderà un fenomeno a basket e, di conseguenza, il ragazzo più popolare della scuola. Ma non è tutto oro ciò che luccica… Ammetto che sia invecchiato maluccio (o forse sono invecchiato male io), i miei ricordi di questo film erano molto più felici e positivi rispetto a questo rewatch avvenuto una trentina d’anni dopo l’ultima volta. Ennesima dimostrazione che i film restano sempre uguali, sono i nostri occhi che cambiano, maturano, forse peggiorano. Diamine però quanto si stava meglio, in quei fottuti anni 80. Il film è in streaming su Prime Video.
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Il Cavaliere della Valle Solitaria (1953): Due anni prima di girare Il Gigante, noto anche come l’ultimo film di James Dean, il regista George Stevens gira questo western atipico, una sorta di Lo Chiamavano Trinità senza fagioli (ma con le scazzottate!). Il protagonista Shane, che già conoscevo per essere stato citato più volte nel bel thriller Il Negoziatore, è un pistolero dal cuore d’oro che, di passaggio in una vallata, decide di fermarsi per rifarsi una vita come contadino e, al tempo stesso, difendere gli altri contadini da un proprietario terriero avido che vuole tutte le loro terre per sé. Con le splendide montagne del Wyoming a far da sfondo alla valle solitaria del titolo italiano, le due fazioni si provocano, si pizzicano, si menano e, inevitabilmente, si sparano per gran parte del film. Al di là della semplicità della storia, è appassionante, coinvolgente, si fa il tifo per i buoni come se fosse una partita dell’Italia ai Mondiali e ora capisco perfettamente perché i ragazzini dell’epoca fossero in fissa con Shane. 6 candidature agli Oscar (compreso film e regia) e la statuetta per la migliore fotografia. Bello!
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Il Colore del Melograno (1969): Considerato un film più unico che raro nella storia del cinema, il film dell’armeno Sergej Iosifovič Paradžanov racconta la vita del poeta errante Sayat Nova, dall’infanzia alla corte del principe, fino al ritiro in convento e quindi la morte. Le immagini, dei tableaux vivants a inquadratura fissa, sono tutte ispirate alle opere del poeta, tra allegorie, nature morte, fantasie oniriche e surrealismo, dove spicca il colore del melograno, che richiama subito al sangue versato dal popolo armeno. Un film inafferrabile, enigmatico, ipnotico, ma anche affascinante a non finire: bisogna scendere a patti con il suo simbolismo, il suo linguaggio cinematografico totalmente diverso da ciò a cui siamo abituati, ma se si riesce a entrare in contatto con quella poesia, è difficile non restarne abbagliati. Inoltre, cosa non da poco, dura meno di 80 minuti. Scelto come film preferito per il progetto Film People (qui anche in versione video!), se avete voglia di avventurarvi nella vita di questo bardo armeno del Settecento, potete farlo su Rai Play (dove lo trovate sotto il titolo Sayat Nova).
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